Non andammo subito a Milano.
Claudia ci aveva portati in un luogo neutro, in una casa in collina che emanava
un caldo profumo di bosco e terra umida. Appena varcammo la soglia, capimmo
perché: ad attenderci c’era Ramon.
Era seduto accanto al camino, la
sua figura solida, precisa, sicura, la personificazione del padre che non
avevamo mai avuto. Andai ad abbracciarlo. Sentii il calore e la forza del suo
corpo, la certezza di un uomo che aveva mosso montagne burocratiche e
finanziarie per noi, appianando i debiti di Viviana con la Famiglia Lusenti. Un
vero risolutore.
«Siamo tornati, Ramon» dissi,
«Siamo di nuovo noi, una famiglia.»
«Bentornati a casa, ragazzi.
Avete dormito bene?» Chiese, ma i suoi occhi castani non cercavano una risposta
banale. Cercavano le anime, per vedere se erano tornate intere.
Quegli occhi, così familiari e
rassicuranti, ora raccontavano anche il prezzo di quella certezza. Solo in quel
momento notai, con un brivido freddo lungo la schiena, ciò che l'ombra della
poltrona aveva celato: la gamba destra era sostituita da una protesi meccanica,
lucida e implacabile, mentre una cicatrice rossastra, un taglio netto e
profondo, gli attraversava l'arcata sopra il sopracciglio sinistro, arrivando
quasi all'angolo dell'occhio. I Lusenti non facevano sconti sulla carne.
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