mercoledì 8 ottobre 2025

La Mamma 2.0 che genera "Mostri Digitali"

 Le madri contemporanee conservano ancora l'autentica capacità di esercitare la maternità, nel senso più profondo e disinteressato del termine?





Ci si interroga sulla disattenzione verso le premure essenziali: l'elementare sollecitudine di chiedere, ad esempio, "Hai indossato il giubbino questa mattina, dato il repentino abbassamento delle temperature?" o l'avvertenza di portare l'ombrello in caso di pioggia imminente.

Dove è finito il valore insostituibile del gesto affettivo? Parlo della semplice ma significativa cura domestica: dedicare tempo, magari la domenica, a cucinare un primo piatto o a preparare una torta – atti concreti di devozione che fanno sentire il figlio realmente considerato e amato.

Eppure, si assiste a una costante e palese inversione delle priorità. L'attenzione è perennemente rivolta all'esibizionismo digitale: alla compulsiva necessità di alimentare le proprie stories sui social, alla cura maniacale di piega e tinta bi-settimanale, e alla ricerca incessante di shopping o aperitivi con le amiche. È una corsa a ritagliarsi i propri spazi che, di fatto, annulla e svuota quelli della famiglia.

Non stupisce, dunque, che di fronte a questo vuoto emotivo e a questa carenza di presenza sostanziale, i figli siano costretti a cercare sostegno, validazione e attenzione nella rischiosa e impersonale sfera di Internet.

L'abbandono emotivo crea un vuoto, un "pozzo nero". Ed è chiaro che, per i giovani, la soluzione più immediata e accessibile è Internet. Lì trovano:

  1. Validazione Immediata: Un cuore, un commento, un follower danno l'illusione di essere considerati.

  2. Modelli Sostitutivi: Influencer e creator offrono guide, consigli e una falsa sensazione di intimità che i genitori hanno smesso di fornire.

  3. Rifugio: La realtà virtuale diventa un facile scudo contro la delusione di una realtà domestica in cui si è "meno importanti" di una tinta o di un tag.

La vera tragedia è questa: si condanna il figlio a cercare una "linea di ascolto" nel brusio del web, un luogo che, pur offrendo possibilità, è spesso un ambiente non specializzato e potenzialmente tossico, che isola anziché aiutare.

Non si tratta di fare la guerra a tinte e aperitivi—ognuno ha il diritto al proprio spazio. Ma non credete sia un triste paradosso che, nell'era della massima connessione digitale, stiamo vivendo un'epidemia di disconnessione affettiva a livello familiare? E non è forse un segnale che i veri bisogni dell'animo umano (l'ascolto, la cura, la certezza) vengono regolarmente sacrificati sull'altare del brand personale e della superficialità?

La soluzione non è eliminare la tecnologia, ma riscoprire la sostanza dietro la story. Forse basterebbe che una volta su tre l'ombrello dimenticato fosse più importante del selfie perfetto. 

1 commento:

Anonimo ha detto...

questa è una vera piaga, e purtroppo nessuno sta facendo nulla