Siamo in un'epoca in cui la protesta è stata ridotta a un palcoscenico: più grande è la bandiera, più fragoroso è lo slogan, maggiore è la presunzione di aver "fatto la propria parte". L'attivismo si confonde spesso con l'esibizionismo da selfie, e la profondità dei problemi viene soffocata dal colore appariscente della bandiera di turno.
Ma ecco a L'Aia, la città che forse, per una volta, ha saputo superare questa superficialità. Ho visto un'immagine di una piazza che non sventolava vessilli, non urlava loghi, ma si vestiva di un unico, feroce, inequivocabile colore: il rosso.
Un mare di persone, una "linea rossa", come la descrivevano alcune cronache da paesi vicini, l'unica tinta necessaria per urlare il più brutale dei messaggi: questo bagno di sangue deve finire.
Non c'era bisogno di bandiere palestinesi (sebbene abbiano la loro innegabile dignità) o di cartelloni di partiti. Il rosso, signore e signori, è il colore della vita e della sua inaccettabile fine violenta. È l'ultima vera sfumatura dell'animo umano che non ha bisogno di etichette: il dolore.
Quale sagacia in questa scelta! Mentre la società ci spinge a etichettare ogni singola cosa – sei pro-questo o contro quello? – questi manifestanti hanno scelto di negare l'etichetta. Hanno detto: "Non vi daremo la scusa per liquidare la nostra azione come un affare di parte."
La manifestazione in rosso, se attuata con questa filosofia, svela la più grande contraddizione della società:
Quando blocchi: Sei un estremista, un nemico dei lavoratori, un anarchico.
Quando non blocchi (e usi solo il simbolo): Sei inefficace, troppo quieto, non stai veramente facendo nulla.
Ma forse la vera potenza sta proprio lì: nel rifiuto dell'ostacolo fisico per imporre un ostacolo morale. Vestirsi di rosso per dire ad Israele (e a tutti coloro che lo sostengono, inclusi noi, col nostro silenzio) che si sta "riempiendo questo mondo di sangue e delitti" non è un atto di vandalismo o un blocco stradale; è una condanna estetica, un giudizio sulla superficialità del conflitto, mascherato da geopolitica.
Non è un gesto più eloquente e meno esibizionista di mille slogan? Mentre gli altri si affannano a brandire simboli, qui si usa il corpo come tela e il colore come grido.

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