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| per fermare il massacro bisogna agire sull'origine che lo alimenta |
Ancora qui. Ancora a contare i corpi, a srotolare la litania di nomi come un rosario funebre. Ilaria Sula, Sara Campanella, Cinzia Pinna. Donne. Madri. Figlie. O solo esseri umani. Non "femminicidi", non un termine asettico da glossario giudiziario, ma omicidi. Omicidi brutali, efferati, perché qualcuno ha osato esercitare il suo diritto inalienabile di essere sé stessa, di dire NO, di andare avanti senza il suo aguzzino.
E il refrain ipocrita che risuona? "Era così un bravo ragazzo..."
Il libro " Era così un bravo ragazzo ... poi ha smesso" smonta la favola rassicurante che tutti amano raccontarsi. Non è la storia del "bravo ragazzo" che all'improvviso impazzisce, ma del ragazzo che la società e la famiglia hanno costretto a diventare. Questa è la chiave di volta, un'affermazione di una gravità sconcertante che sposta la responsabilità dal mero individuo al contesto formativo.
"Le persone che si indignano... sono spesso le stesse che non si sono mai degnate di guardare davvero chi era Giuseppe."
Non è forse questa una delle massime contraddizioni della società moderna? Ci indigniamo per il prodotto finale — il "mostro" — ma chiudiamo gli occhi sulle sue origini. La "bravura" del ragazzo, in quest'ottica, non è virtù, ma una maschera, una prigione costruita da chi lo circondava. È la famiglia, i conoscenti, l'ambiente, che plasmano, schiacciano, e poi si disinteressano delle cicatrici emotive, delle insicurezze profonde, dell'assenza di affetto.
Il messaggio è inequivocabile: l'origine del "mostro" risiede nella sua formazione, in una carenza affettiva che lo spinge a cercare il senso di potere e di esistenza "nel modo più distorto". Si tradisce non la sua anima (che nessuno ha mai voluto conoscere), ma l'immagine che gli altri avevano costruito per lui.
Questo post sintetizza in modo critico e incisivo l'esigenza di superare un approccio meramente repressivo alla violenza di genere, proponendo una strategia preventiva e strutturale che riconosca l'aggressore non come un'anomalia, ma come il prodotto di una degenerazione socio-formativa.
Il cuore del messaggio è che la violenza non è un "raptus" improvviso, ma l'esito di un fallimento formativo e ambientale che spinge l'uomo a cercare il potere attraverso il possesso.
IL LIBRO individua tre pilastri d'azione fondamentali per contrastare efficacemente la violenza:
Protezione Immediata e Assoluta: Di fronte a minacce e denunce, lo Stato deve garantire una protezione non negoziabile alla donna, abbandonando l'indifferenza e le valutazioni superficiali.
Intervento sulla Radice: È cruciale investire in centri per Uomini Autori di Violenza (UAV) che forniscano percorsi di rieducazione emotiva al fine di insegnare la gestione del rifiuto e il rispetto, colmando il vuoto formativo lasciato da famiglia e società.
Formazione Sistemica: È indispensabile formare adeguatamente gli operatori (Forze dell'Ordine, Giustizia, Servizi Sociali) affinché possano riconoscere che il "bravo ragazzo" è una maschera e sappiano leggere i segnali di controllo e manipolazione che precedono la tragedia.
In conclusione, il post lancia una forte domanda retorica: per evitare l'imbarazzo di non aver voluto vedere, quanto tempo dovremo aspettare prima di capire che tutelare le donne significa disinnescare la "bomba" del fallimento sociale e non solo fornire un "pulsante d'allarme" dopo che la minaccia è esplosa?

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