Ieri, al risveglio, un’inquietudine sottile mi si era annidata nel petice, un fremito strano che non riuscivo a ricondurre a nulla di concreto. Eppure, era da tempo che non dormivo in modo così denso, un sonno che aveva avvolto la mia coscienza come un pesante velluto scuro. Mi alzai con lentezza, la testa ancora ovattata, scrutando la luce fioca che filtrava attraverso le pesanti tende di cotone grezzo. L'aria, nella stanza, era ferma, quasi in attesa.
Che cosa? Sentivo un senso di attesa vibrarmi nelle membra, un pizzicore sordo che ricordava l'istante prima di un esame cruciale. Ma l'unica cosa urgente che avrei dovuto affrontare era il giorno in sé. Colazione. Niente pane. Caffè senza zucchero. Un frutto da addentare prima della partita a tennis (la sacca, un borsone in tela blu consumata, era già in agguato nel corridoio). Ah, e poi, l'acquisto di quel farmaco miracoloso per la cute.
Un ticchettio nella mente, leggero, quasi impercettibile. Barbara.
Ecco il nervosismo, la causa di quell'inspiegabile agitazione mattutina. L'avevo conosciuta in chat, qualche sera prima, spinto più dalla curiosità che da altro, su consiglio del mio ineffabile mentore, un uomo che aveva la bizzarra abitudine di spingermi sempre oltre le mie zone di conforto. Barbara, mi aveva detto, trans in attesa di operazione, personal trainer in una rinomata palestra milanese. Si era presentata con una risolutezza che non ammetteva repliche, una voce decisa che aveva bucato la freddezza dello schermo.
Non provavo un’attrazione passionale o fisica, ma un forte, quasi febbrile, desiderio di conoscerla. Il suo tono così risoluto continuava a ronzarmi in testa. Era la curiosità di vederla, di misurare dal vivo quella sicurezza, di decifrare il suo mondo, l'unica vera ragione della mia ansia. Capii che non si trattava di attesa, ma di sospensione emotiva.
Dovrei chiederle di vederci. Ma con quale pretesto? Le mie lezioni di tennis, la sacca in corridoio. Certo. «Ciao Barbara, avrei bisogno di chiederti un consiglio. È piuttosto urgente ma Preferirei parlartene di persona».
In campo, sotto il sole già caldo che picchiava sull'asfalto del club, i pensieri su Barbara volarono via veloci, spazzati via dal ritmo incessante del tennis con Enrico. Tra un dritto potente e un rovescio in slice, l'unica concentrazione ammessa era la palla.
Dopo una doccia rapida che mi lasciò addosso un odore di sapone al ginepro, mi diressi in farmacia. Quando pronunciai il nome di quel farmaco, notai un barlume di curiosità, quasi allerta, negli occhi castani della dottoressa dietro il bancone.
«Ha particolari allergie o intolleranze?» chiese, sollevando un sopracciglio perfettamente disegnato. La sua espressione era professionale, ma c’era una tensione quasi impercettibile nel modo in cui stringeva il blister.
«Che io sappia no, cosa intende di preciso?» risposi, già discretamente allarmato.
«Allergie a farmaci, a cibi o piante» scandì lei, con una meticolosità che amplificò il mio disagio.
«Nessuna».
«Sta assumendo altri farmaci in questo periodo?»
«Niente, solo un integratore di magnesio…»
«Perfetto. Allora si ricordi di prendere la dose che le ha prescritto il medico e, dovesse notare qualsiasi forma di reazione allergica, lo avvisi subito».
Uscii dalla farmacia con il farmaco in mano e un senso di sospetto che mi pizzicava la pelle. Cosa ne sapeva Barbara di farmaci per la cute? E chi le aveva consigliato quel prodotto? Il mio medico, il dottor Riboldi, interrogato al telefono per la ricetta, si era limitato a un: «Serve per la calvizie, eh già?» e al mio mesto assenso, aveva liquidato tutto con un: «Ottimo», senza chiedermi come ne fossi venuto a conoscenza. Ma, a dirla tutta, quando mai il Riboldi chiedeva qualcosa? L’unica volta che mi aveva misurato la pressione era stato cinque anni fa, quando mi ero presentato come nuovo assistito. Sono il suo paziente ideale: una visita una volta all'anno per gli esami di routine.
(A volte, la presunzione di normalità è l'anticamera di un buon imbroglio. Ma anche un sollievo per chi non ama i drammi medici).
Decisi che rientrare a casa non era un’opzione. Troppa solitudine, troppi pensieri in agguato. Una pizza sarebbe stata molto meglio, da Walter ed Erminia, un rifugio dove le chiacchiere erano semplici e prevedibili. Dovevo togliermi dalla mente Barbara e il fatto che non mi avesse ancora risposto.
Il locale, piccolo e accogliente, era immerso in un aroma confortante di lievito e pomodoro cotto. Le pareti erano affollate di fotografie ingiallite.
«Che ti porto, Paolè, la solita?» La voce di Walter era calda, quasi paterna.
«La solita» risposi, con un sorriso stanco.
La 'solita' era, in realtà, la sua pizza, una creazione di Walter ed Erminia: la Pizza Pa-olè!. Pochi ingredienti scelti con un amore che sapeva di casa: pomodoro fresco e profumato, foglioline di basilico lucide, mozzarella di bufala sfilettata che sapeva di latte, qualche cappero salmastro, olive nere e, la vera chicca, un’unica, solitaria sardina piazzata al centro, come un faro in mezzo al mare rosso.
Eppure, nemmeno il gusto avvolgente di quel capolavoro culinario riuscì a staccare il pensiero da Barbara. Non lo fece nemmeno il fantastico tiramisù, un cucchiaio dopo l’altro. Afferrai il cellulare con un gesto brusco, come se l’oggetto mi scotta.
«Ciao Barbara, come stai? Avrei bisogno di chiederti un consiglio ma vorrei farlo di persona. Ti ho chiesto troppo?»
Conciso e diretto, non volevo lasciare spazio all’interpretazione. O è un sì o è un no. Passarono minuti che mi sembrarono ore. Pagai la cassa. Walter, vedendomi con la faccia tesa e vagamente triste, pensò subito fosse colpa della pizza, ma lo rassicurai con foga.
«Walter, era da una settimana che non mi godevo un pranzo così. Al diavolo quella cazzo di dieta che mi ha dato Barbara!»
( C'è un'antica e non scientifica legge che regola il cosmo: se freghi la dieta, la vita ti sorride altrove).
E, infatti, quasi come se l'universo attendesse quel gesto di ribellione, la notifica arrivò:
«Non chiedi troppo. Vieni da me domani dopo le 20.00, non oltre la mezzanotte. Ecco l’indirizzo: Via Mario Pagano 11/C palazzina in mattoni color ocra, secondo piano. Suona al campanello: Anèmone».
Caspita! Prevedevo un secco, incontrovertibile, no!. E invece, tanta prontezza mi aveva destabilizzato. La sorpresa mi fece fermare il respiro a mezz'aria. Domani è… subito!
Ecco, finalmente, il perché di tanta agitazione. La sospensione era finita, iniziava l'ignoto.
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3 commenti:
LEGGI, se ti va, invece di stare sempre, ed inutilmente, a sentenziare sulle motivazioni altrui, pensa alle tue, se ne hai? Oppure tutta la tua vita è votata a giudicare quello che fanno gli altri? Perché, se così fosse, sarebbe come determinare di non averne una propria, capito?
comunque condivido, è indecente poter esprimere un parere in quella merda di rabbit, ci sono un sacco di sfigati come quelli che ti hanno commentato - SirRantelot e False_sundae sono due cretini che sputano su tutto e tutti
già però sono stato un fesso perchè come successo all'inizio, quando mi inalberavo in qualsiasi discussione, bisogna non cadere nel tranello. La loro arma è propria quella di provocarti, insultando, quello che sei e che scrivi, (ovviamente loro di post personali non ne mettono), per farti reagire e di conseguenza alimentare rabbia. La soluzione, al contrario, è usare lucidità, ed aspettare che il post venga letto, non da "cani rabbiosi", ma da persone civili, a volte succede
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