"Noi che stiamo in comodi deserti di appartamenti e di tranquillità lontani dagli altri, ma tanto prima o poi gli altri siamo noi."
Usiamo il mezzo tecnologico per dare un senso, a qualcosa che non può averne se non quello triste e rassegnato di ingiustizia.
Dopo aver appreso ancora una volta la mancanza totale da parte dello STATO nella difesa dei propri figli-cittadini, ed a vantaggio dei propri affari, cerchiamo di trovare attraverso la nostra energia che diventa forza solidale quando si eleva a sdegno la capacità di sostenere non solo con le parole il nostro nucleo sociale.
Certo è facile sentirsi mortificati da quanto emerge dalle aule dei tribunali, ma sono anni che continuo a sentire le stesse parole eppure i fatti non trovano mai giustizia in quello che è legittimo e umano attendersi, quindi creiamoli noi i fatti.
Usiamo i social per formare gruppi di sostegno economico per le persone che sono state toccate nel profondo da queste ingiustizie, e mettiamo come garante di questi conti il giudice Raffaele Guariniello che non potrà esimersi dall'essere quanto più concreto e accurato nell'esaminare i casi e ripartire i risarcimenti.
Basta sdegno, basta parole di lotta e violenza, usiamo la forza solidale per formare una realtà positivi, per chi è come NOI, perchè gli "ALTRI" siamo noi
Un eccidio che ancora oggi è orfano del diritto.
Secondo i magistrati della Cassazione, questo tipo di disastro ambientale, anacronistico, sarebbe a consumazione istantanea, non frazionata o permanente come avevano sostenuto invece i giudici di merito. La fabbrica killer ha commesso il crimine nel momento in cui operava, anche se i morti arriveranno dopo. Il reato contestato a Schmidheiny è, quindi, tecnicamente cessato al momento della chiusura dello stabilimento di Casale Monferrato, nell’anno di grazia 1986. Ergo, si è prescritto. Stessa sorte toccherà, evidentemente, a tutti gli altri processi per disastro ambientale intentati ad aziende chiuse da tempo.
( la soluzione per ottenere una giustizia di fatto sarebbe stata quella di crepare quando l'impianto era ancora attivo, ovviamente documentandone le cause dovute all'ambiente di lavoro e non accertandole dopo, un po' come dire " tolto il dente tolto il dolore e non importa se per farlo abbiamo dovuto strapparti via gli altri quattro molari " )
In particolare, la Suprema Corte (sentenza 38343) nelle 211 pagine di motivazioni depositate oggi scrive che «il giudice di merito dovrà rimodulare le pene tenendo conto da un lato dell’esclusione delle aggravanti e dall’altro del riassetto delle relazioni tra gli illeciti». In questo modo, «le sanzioni già inflitte non potranno essere aumentate». I supremi giudici confermano la responsabilità dei sei manager, Harald Espenhan (ex ad della Thyssen condannato in appello a dieci anni di reclusione), Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri (avevano condanne comprese tra i 7 e i 9 anni) e dà atto che «l’adozione di tutte le cautele doverose, primarie e secondarie, avrebbe certamente evitato il drammatico esito». ( troviamo il capro espiatorio che faceva tutto da solo contro la politica di sicurezza, che invece, stava attuando l'azienda, senza quartiere specificano...eppure in Germania questi morti non li hanno avuti o sbaglio ? )
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